domenica 8 febbraio 2015

L'anfora GUTTURNIUM


GutturniumFino agli anni 70, l'anfora di Veleia viene utilizzata e citata come simbolo del vino Gutturnio. Poi improvvisamente, in una pubblicazione del 1972, lo studioso Serafino Maggi identifica la coppa Gutturnium con quella ritrovata lungo le sponde piacentine del Po, a Croce Santo Spirito. Da lì in poi e ancora oggi, è abitudine trovare riferimenti al nome Gutturnio come derivato dalla coppa ripescata nel Po.  


Si tratta però di un errore poichè il Gutturnium era un'anfora della capacità di due litri, come descritto da Bonora in "Escursione per la Val Nure" del 1881. L'altra coppa aveva invece un'altezza di "nove centimetri e tre millimetri" come riportato dal Porf. Pizzi, nel "Bollettino Archeologico del Museo Provinciale di Cremona" del 1878. Ben lontano quindi dalla capacità, citata, di due litri. Il secondo ritrovamento, infatti, si tratta di una tazza, un "ariballo", come chiamato dall'accademia dei Lincei, ovvero un piccolo recipiente, che solitamente veniva utilizzato dagli atleti e dalle donne dell'antica Grecia e da quelle romane.

E' noto che l'attuale vino Gutturnio abbia ereditato il nome dalla coppa o tazza di argento di epoca romana, rinvenuta nel territorio piacentino verso la fine dell'ottocento. Aldo Ambrogio, nel 1938, citava il "Gutturnium" come un "bellissimo boccale o grande coppa di vino dissepolto a Veleia nel 1878 e conservato nel Museo Nazionale di Roma: esso chiudeva le grandi cene romane. L'esemplare consta di una grande coppa d'argento della capacità di circa due litri di vino: ha una sola ansa con figure sbalzate e cesellate con arte pura ed elegante ed il corpo è tutto cesellato a piccoli sbalzi con tralci di vite e grappoli d'uva e romboidi finemente graniti e di aspetto singolare. Recava inoltre la scritta, in rilievo, "PLACENTIAE".
Purtroppo negli ultimi anni è stata abbandonata la storia del ritrovamento negli scavi di Veleia, a favore dell'ariballo raccolto casualmente dalla rete di un pescatore.
I vini piacentini erano già famosi ai tempi dei Romani. Cicerone, nella sua oratoria "in Pisonem" nel Senato di Roma, accusava Pisone, padre di Calpurnia, moglie di Giulio Cesare, di "bere calici troppo grandi del vino di Piacenza". E i Romani hanno lasciato traccia dei vini di Piacenza, anche in altre loro province. Ad esempio in Turchia, nel villaggio di Aizanoi, nell'Anatolia Centrale, vistando il tempio di Zeus è possibile vedere una stele sulla quale è rappresentata un'aquila romana con accanto un vaso identico al Gutturnium di Veleia.